Hall Stuart
- Testo
- Bibliografia2
- Video2
- Voci correlate
Autore: Carlo Gagliardi
Nato nel 1932 in Giamaica, qui studia finché ottiene una borsa di studio a Oxford.
Fondatore della New Left Review, che dirige nel triennio 1959-1961, insegna cinema e mediologia al Chelsea College of Science di Londra (1962-1964). Passa quindi al Centre for Contemporary Cultural Studies dell’Università di Birmingham, di cui assume la direzione succedendo a Richard Hoggart e divenendo uno dei maggiori esponenti dei cultural studies. Dal 1979 è professore di sociologia nella Open University. In seguito svolge attività d’insegnamento e ricerca presso università americane dello Iowa e dell’Illinois.
Il suo contributo, che si distingue per rigore e ricchezza di pensiero, verte principalmente sui rapporti tra i media, il linguaggio e la cultura, di cui approfondisce tanto gli aspetti ideologici quanto le costanti epistemologiche. Nel mondo anglo-americano è considerato come sottolinea R. J. Ravault, dell’Université du Québec a Montréal il ricercatore che meglio ha saputo applicare le notazioni metodologiche del marxismo allo studio delle comunicazioni di massa. A lui si deve la rilettura e un vero recupero del pensiero di Antonio Gramsci, con particolare riferimento ai concetti di ‘egemonia’ e di ‘cultura popolare’. L’originalità dei suoi scritti sulla ‘ricezione attiva’, sulla resistenza ai media da parte della cultura popolare, rimane una pietra miliare nell’avanzamento della comprensione dei modi in cui pubblici differenti ricostruiscono il significato dei messaggi.
Tra le sue opere più direttamente riguardanti le comunicazioni si segnalano: Encoding and decoding in the television message, Centre for Contemporary Cultural Studies of Birmingham University, London 1973; assieme a Jefferson T. (eds.), Resistance through rituals. Youth subcultures in post-war Britain, CCCS of Birmingham University, London 1976; Culture, the media and the "ideological Effect", Arnold, London 1977; The hinterland of science. Ideology and the sociology of knowledge, CCCS of Birmingham University, London 1977; con Hobson D. - Lowe A. - Willis P. (eds.), Culture, media, language. Working papers in cultural studies, Hutchinson, London 1980; Cultural studies. Two paradigms, in "Media, Culture and Society", 2 (1980); Signification, representation, ideology. Althusser and the post-structuralist debate, in "Critical Studies in Mass Communication", 2 (1985) 2; Reproducing ideologies, Macmillan, London 1987; in coedizione con Du Gay P., Questions of cultural identity, Sage, London 1996; Representation. Cultural representation and signifying practices, Sage, London 1997.
Gli effetti culturali dei media sono studiati da H. con riferimento alle modalità di ‘decodifica’ messe in atto dai destinatari dei messaggi, modalità legate alla "realtà subculturale" vissuta (subcultura giovanile, subcultura femminile, ecc.). Peraltro l’attività di comprensione e di ‘decodifica’ da parte del pubblico è svolta anzitutto in un ambito previsto dalla stessa emittente. Tre i principali tipi di decodifica, disposti in un continuum che va da un massimo a un minimo di corrispondenza con la codifica:
1) interpretazione, senza discussione dei presupposti e delle significazioni primarie, corrispondente al quadro egemonico fornito nella codifica dell’emittente;
2) correlazione negoziale tra i significati proposti dall’emittente e le proprie posizioni;
3) comprensione dei significati proposti dall’emittente, ma rifiuto, in forma contraddittoria, di quella lettura. In quest’ultimo caso si aprono ulteriori meccanismi di decodifica.
Il periodo della contestazione studentesca offre a H. spunti per affrontare la problematica della rappresentazione della violenza, distinguendone il ruolo nella fiction e, come "violenza reale", nell’informazione. Egli respinge la concezione, tipicamente britannica, della "obiettività basata sulla notizia nuda e cruda", separata dal commento, poiché la notizia è solo apparentemente asettica in quanto prodotto di una costruzione umana: una delle componenti essenziali di quel "sistema di produzione culturale (per citare Adorno) che definiamo comunicazione di massa". La produzione di notizie ha spesso carattere ‘circolare’: una volta che un’informazione è seguita per un certo periodo, crea nei media uno "spazio pubblico" (Habermas) che deve essere riempito. Inoltre la ‘presenza’ dei mezzi di comunicazione nel momento in cui nascono nuovi eventi può influire sul loro sviluppo modificandone il corso. Direttamente collegato al principio della obiettività è l’altro cavallo di battaglia del giornalismo anglosassone: l’imparzialità. A preoccupare H. non è tanto la "parzialità deliberata", che si può facilmente individuare, quanto la "parzialità non intenzionale", più nascosta e difficile da valutare. Essa fa propendere i media per la conservazione dello status quo con il privilegiare alcune categorie di persone e non altre quali testimoni degli avvenimenti, con i modi di organizzare i dibattiti, le domande fatte vs. quelle non fatte, i collegamenti alla buona con certe cause. Per verificare la sua incidenza H. distingue tra area del consenso (in cui c’è accordo circa il trattamento dell’informazione), l’area della tolleranza (accordo non completo, termini da scegliere nell’ambito di più definizioni) e l’area del conflitto (dove entrano in gioco definizioni contrastanti).
Fondatore della New Left Review, che dirige nel triennio 1959-1961, insegna cinema e mediologia al Chelsea College of Science di Londra (1962-1964). Passa quindi al Centre for Contemporary Cultural Studies dell’Università di Birmingham, di cui assume la direzione succedendo a Richard Hoggart e divenendo uno dei maggiori esponenti dei cultural studies. Dal 1979 è professore di sociologia nella Open University. In seguito svolge attività d’insegnamento e ricerca presso università americane dello Iowa e dell’Illinois.
Il suo contributo, che si distingue per rigore e ricchezza di pensiero, verte principalmente sui rapporti tra i media, il linguaggio e la cultura, di cui approfondisce tanto gli aspetti ideologici quanto le costanti epistemologiche. Nel mondo anglo-americano è considerato come sottolinea R. J. Ravault, dell’Université du Québec a Montréal il ricercatore che meglio ha saputo applicare le notazioni metodologiche del marxismo allo studio delle comunicazioni di massa. A lui si deve la rilettura e un vero recupero del pensiero di Antonio Gramsci, con particolare riferimento ai concetti di ‘egemonia’ e di ‘cultura popolare’. L’originalità dei suoi scritti sulla ‘ricezione attiva’, sulla resistenza ai media da parte della cultura popolare, rimane una pietra miliare nell’avanzamento della comprensione dei modi in cui pubblici differenti ricostruiscono il significato dei messaggi.
Tra le sue opere più direttamente riguardanti le comunicazioni si segnalano: Encoding and decoding in the television message, Centre for Contemporary Cultural Studies of Birmingham University, London 1973; assieme a Jefferson T. (eds.), Resistance through rituals. Youth subcultures in post-war Britain, CCCS of Birmingham University, London 1976; Culture, the media and the "ideological Effect", Arnold, London 1977; The hinterland of science. Ideology and the sociology of knowledge, CCCS of Birmingham University, London 1977; con Hobson D. - Lowe A. - Willis P. (eds.), Culture, media, language. Working papers in cultural studies, Hutchinson, London 1980; Cultural studies. Two paradigms, in "Media, Culture and Society", 2 (1980); Signification, representation, ideology. Althusser and the post-structuralist debate, in "Critical Studies in Mass Communication", 2 (1985) 2; Reproducing ideologies, Macmillan, London 1987; in coedizione con Du Gay P., Questions of cultural identity, Sage, London 1996; Representation. Cultural representation and signifying practices, Sage, London 1997.
Gli effetti culturali dei media sono studiati da H. con riferimento alle modalità di ‘decodifica’ messe in atto dai destinatari dei messaggi, modalità legate alla "realtà subculturale" vissuta (subcultura giovanile, subcultura femminile, ecc.). Peraltro l’attività di comprensione e di ‘decodifica’ da parte del pubblico è svolta anzitutto in un ambito previsto dalla stessa emittente. Tre i principali tipi di decodifica, disposti in un continuum che va da un massimo a un minimo di corrispondenza con la codifica:
1) interpretazione, senza discussione dei presupposti e delle significazioni primarie, corrispondente al quadro egemonico fornito nella codifica dell’emittente;
2) correlazione negoziale tra i significati proposti dall’emittente e le proprie posizioni;
3) comprensione dei significati proposti dall’emittente, ma rifiuto, in forma contraddittoria, di quella lettura. In quest’ultimo caso si aprono ulteriori meccanismi di decodifica.
Il periodo della contestazione studentesca offre a H. spunti per affrontare la problematica della rappresentazione della violenza, distinguendone il ruolo nella fiction e, come "violenza reale", nell’informazione. Egli respinge la concezione, tipicamente britannica, della "obiettività basata sulla notizia nuda e cruda", separata dal commento, poiché la notizia è solo apparentemente asettica in quanto prodotto di una costruzione umana: una delle componenti essenziali di quel "sistema di produzione culturale (per citare Adorno) che definiamo comunicazione di massa". La produzione di notizie ha spesso carattere ‘circolare’: una volta che un’informazione è seguita per un certo periodo, crea nei media uno "spazio pubblico" (Habermas) che deve essere riempito. Inoltre la ‘presenza’ dei mezzi di comunicazione nel momento in cui nascono nuovi eventi può influire sul loro sviluppo modificandone il corso. Direttamente collegato al principio della obiettività è l’altro cavallo di battaglia del giornalismo anglosassone: l’imparzialità. A preoccupare H. non è tanto la "parzialità deliberata", che si può facilmente individuare, quanto la "parzialità non intenzionale", più nascosta e difficile da valutare. Essa fa propendere i media per la conservazione dello status quo con il privilegiare alcune categorie di persone e non altre quali testimoni degli avvenimenti, con i modi di organizzare i dibattiti, le domande fatte vs. quelle non fatte, i collegamenti alla buona con certe cause. Per verificare la sua incidenza H. distingue tra area del consenso (in cui c’è accordo circa il trattamento dell’informazione), l’area della tolleranza (accordo non completo, termini da scegliere nell’ambito di più definizioni) e l’area del conflitto (dove entrano in gioco definizioni contrastanti).
Bibliografia
- GIROY Paul - GROSSBERG Larry - MCROBBIE Angela (eds.), Without guarantees. In honour of Stuart Hall, Verso book, London 2000.
- MORLEY David - KUAN-HSING Chen, Stuart Hall. Critical dialogues in cultural studies, Routledge, London 1996.
Documenti
Non ci sono documenti per questa voce
Links
Non ci sono link per questa voce
Note
Come citare questa voce
Gagliardi Carlo , Hall Stuart, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/11/2024).
Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo
626